Dopo le Poste, anche le Stazioni diventano Coworking. Mah…
[Dalla newsletter personale del nostro fondatore]
Citando il presidente del Gruppo FS, Tommaso Tanzilli, in una dichiarazione di pochi giorni fa:
è in atto un progetto del Gruppo FS per valorizzare le stazioni ferroviarie di piccoli centri con meno di 15.000 abitanti, trasformandole in poli multifunzionali con servizi come farmacie, ambulatori e spazi di coworking per contrastare lo spopolamento
Pare che l’intenzione riguardi i piccoli comuni, sotto i 15.000 abitanti.
Impossibile non andare col pensiero all’iniziativa di Poste Italiane di qualche anno fa: anche lì il concetto era (è?) di riutilizzare virtuosamente un patrimonio immobiliare super-capillare, eredità di un’epoca in cui la Posta era uno dei punti nevralgici di un territorio.

Ne abbiamo già parlato, qui nel 2022, e qui nel 2024…
Da allora personalmente non ho notato evoluzioni significative del progetto di Poste “Spazi per l’Italia”, che pur beneficia di risorse economiche ingenti, pari a 120 milioni di Euro.
Curiosità: anche nel caso di Poste, l’intervento è rivolto a Comuni sotto i 15.000 abitanti, come se Poste e Ferrovie avessero deciso: sopra le 15.000 anime, che il Coworking se lo facciano da soli 😂
Ed oggi siamo alle Stazioni ferroviarie.
La trasformazione, a quanto è dato di capire, è già in atto, non si tratta di un’idea bensì di un progetto concreto, per il quale sono stati stanziati tanti ma tanti soldi.
Per la precisione 100 miliardi di Euro in 5 anni, naturalmente per fare tantissime cose, tra cui (cito sempre dal comunicato ufficiale del Gruppo FS):
- progetti ferroviari quali Napoli-Bari, Salerno-Reggio Calabria e il passaggio sotterraneo di Firenze
- portare avanti i 1.200 cantieri attualmente aperti, di cui 500 per manutenzione ordinaria
- trasformazione di aree dismesse, come lo scalo Farini a Milano, in spazi attivi e funzionali, con presenza di Coworking
Ora, lungi da me fare il guastafeste.
Che si riqualifichino immobili inutilizzati o sottoutilizzati – specie in zone marginali – è un’ottima notizia.
Che lo si faccia a beneficio delle comunità locali, anche meglio.
Che si citi il Coworking, poi, a me fa sempre piacere, figuriamoci, è la mia passione.
Ma permettetemi due pensieri – chiamiamoli così – da chi vive questo mondo da quasi vent’anni.
Primo pensiero: il Coworking non è un arredo.
Non basta allestire una stanza con tavoli, prese e WiFi per farne uno spazio di lavoro condiviso.
Il Coworking – quello vero – non è fatto di muri, ma di relazioni.
Non nasce da un bando, ma da una comunità.
Non risponde alla logica “occupiamo questo spazio vuoto”, ma alla domanda “di cosa ha bisogno questa gente qui?”
E questo vale ovunque, non solo nei centri urbani: anche nel più piccolo paese, o nella più sperduta stazione, il Coworking è una risposta possibile solo da parte di chi riesce a interpretare l’esigenza reale, concreta di una comunità.
Qualcosa che – attenzione – non è mai uguale… non basta dire “sotto i 15.000 abitanti per formulare un tutt’uno coerente, compatto, una situazione standard a cui rispondere in modo standard… è un po’ come pensare che dicendo “tutte le persone sotto i 25 anni” si crei un gruppo chiaramente identificabile e interpretabile,
Ok, potreste anche dirmi:
Fai tu il Coworking in decine e decine di piccole stazioni ferroviarie, dal Nord al Sud, con approccio su misura stile Cowo®… con un colosso come il Gruppo FS!
Appunto, vi risponderei:
Non lo faccio, perché non è cosa, secondo me, FS o non FS…
quello che io faccio quando si tratta di aprire e lanciare un Coworking, è esattamente il contrario:
Insieme a un team dedicato, ultraspecializzato, che fa solo questo da anni:
- capiamo, insieme a chi lo gestisce cos’è quello spazio di cui stiamo parlando (la sua storia, la sua posizione, il suo percepito locale ecc)
- capiamo, insieme a chi lo gestisce cosa può diventare su quello specifico territorio, date le forze in campo (risorse, mq, persone, arredi, relazioni)
- formuliamo, insieme a chi lo gestisce, un progetto al 100% su misura, mettiamo in campo l’idea, la seguiamo amorevolemente per 12 mesi
Come si vede, nulla che si possa avvicinare a un approccio “da grande istituzione”.
Inoltre, nulla che si avvalga di finanziamenti milionari – non che sia contrario alle cifre con tanti zeri, intendiamoci, dico solo che occorre rispetto delle risorse, e quando trovo milioni e e miliardi nella stessa frase in cui si parla di “Coworking” mi scappa un sorriso (WeWork non ci ricorda nulla?)
Secondo pensiero: il Coworking pubblico rischia l’effetto vetrina.
Farmacie, ambulatori, Coworking: messi tutti nello stesso elenco, come se fossero uguali.
Ma non lo sono.
Una farmacia risponde a un bisogno oggettivo. Un ambulatorio pure. Un Coworking no: non è un servizio universale, è una nicchia, un’opportunità per alcuni, in determinati contesti.
A volte funziona. A volte no. A volte serve. A volte è un’illusione (specie quando non fai i compiti prima).
E qui arrivo al punto: servono persone, non solo metri quadri.
Chi gestirà questi Coworking nelle stazioni? Con quale modello? Con quale rete? Con quale esperienza?
O pensiamo davvero che basti mettere un’insegna e qualche postazione per “contrastare lo spopolamento”?
Comunque, amici delle Poste, delle Stazioni, delle Prefetture, Scuole, Caserme, Ministeri… io sono con voi.
Ben vengano le iniziative pubbliche.
Ben venga il recupero degli spazi.
Ben venga qualsiasi nuovo Coworking, se fatto bene.
Ma, per favore, non svuotiamolo di senso.
Non riduciamolo a un’etichetta da appiccicare a ogni progetto immobiliare, di wannabe riqualificazione.
Non diamogli compiti che non è in grado di fare, come fermare lo spopolamento, o rimettere dei vecchi uffici (o vecchie stazioni) al centro della vita comunitaria.

Il mio team ed io, con Cowo®, otteniamo risultati dal Coworking costantemente, da 17 anni, quello che si può ottenere pensiamo di saperlo.
È anche vero però che non abbiamo mai avuto 100 miliardi.
Grazie di avermi letto e alla prossima newsletter.
Buon Coworking e buona fortuna 🍀
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