Perché il Coworking non è per tutti (e va benissimo così).
[Dalla newsletter personale del fondatore di Rete Cowo®, Massimo Carraro]
Un punto che mi sta a cuore, e di cui non parliamo mai:
“Chi sono le persone adatte al Coworking?”
L’approccio “socio-demografico” (fasce d’età, sesso, professione, residenza ecc) non è quello giusto.
Perché il Coworking – e ve lo dice uno che lo fa e lo fa fare da 17 anni – è assolutamente trasversale, e funziona (o non funziona) ovunque.

Il punto di vista giusto per rispondere a questa domanda parte da una visione differente, che ha a che vedere più con le attitudini personali che con i dati socio-demografici.
E attenzione: le caratteristiche che rendono un soggetto adatto al Coworking riguardano sia le persone sia le aziende (che sono composte di persone, nel caso qualcuno lo dimenticasse…)
Non tutte le persone sono adatte all’utilizzo del Coworking, così come non tutti hanno il “phisique du role” per aprirlo, per offrirlo sul mercato.
E anche questo è normale.
Parliamo di chi lo utilizza, il Coworking
Ci sono professionisti che hanno bisogno del silenzio assoluto, altri che lavorano in team da 80 persone, altri ancora che non amano socializzare o semplicemente preferiscono stare “per conto loro”.
E va benissimo. Il Coworking non è un obbligo. È una possibilità.
Chi la sceglie, di solito ha una certa apertura mentale.
È persona curiosa, rispettosa, disponibile a condividere uno spazio (e magari anche due chiacchiere).
È una persona o un’azienda che trova valore nella flessibilità, nella relazione, nella contaminazione.
Non serve essere estroversi o chiacchieroni.
Serve essere, in qualche modo, disposti a entrare in una dinamica collettiva. E quando succede… il Coworking funziona.
Anche se le scrivanie sono poche, anche se non c’è il caffè gourmet, anche se la stampante ogni tanto fa i capricci.
E adesso parliamo di chi lo propone: diciamo subito che lo spazio c’entra abbastanza poco
Non so se sembra solo a me, ma viviamo un momento in cui il Coworking sembra una risposta a tutto.
Hai qualche stanza libera? Coworking.
Un ufficio sfitto? Coworking.
Un locale su strada da rilanciare? Ovviamente Coworking.
La realtà, però, è più sottile, più sofisticata, più interessante di così (come sempre).
Uno spazio può essere perfetto, in ordine, ben arredato, tecnologico, in una zona strategica… ma se dietro non c’è il progetto giusto, portato avanti dalle persone giuste, quel progetto rischia di non partire mai davvero.
O, peggio, di partire per poi fermarsi in fretta.
Il Coworking non nasce per magia.
È una forma di relazione prima che una formula di business.
E se manca quel motore lì – la voglia di mettersi in gioco, l’attenzione agli altri, la capacità di accogliere – tutto il resto resta fermo.
Non è un’attività per chi cerca guadagni “a distanza”
Mettere insieme qualche scrivania, attivare il Wi-Fi, pubblicare due foto su Instagram… e aspettare che arrivi gente.
No baby, non funziona così.
Il Coworking ha bisogno di presenza vera: qualcuno che ci sia, che accolga, che ascolti, che gestisca.
Qualcuno che conosca le persone, che faccia rete, che crei quella famosa “atmosfera” di cui tutti parlano ma che pochi sanno costruire.
E sì, serve anche un po’ di pazienza: perché non sempre i risultati sono immediati.
E un po’ di elasticità: perché ogni coworker è diverso. E, più di tutto, serve credere davvero in quello che si sta facendo.
A volte gli spazi semplici funzionano meglio di quelli perfetti
In questi anni ho visto spazi bellissimi che non hanno mai decollato.
E altri, apparentemente modesti, che sono diventati veri punti di riferimento.
La differenza? Non stava nel design, né nei metri quadri. Stava nelle persone.
Nella loro attitudine, nel loro stile di accoglienza, nel modo in cui si sono messi a disposizione della community.
Il Coworking non lo fa lo spazio. Lo fa chi lo vive.
Una selezione naturale che fa bene a tutti
Succede che certi spazi chiudano.
Certo, può sembrare un “fallimento”, ma in molti casi, in realtà, è parte del percorso.
Specie in quei casi in cui il percorso non è stato molto ben preparato, in cui il progetto non ha usufruito di un’analisi preventiva (magari con il nostro Business Plan), beh, in tal caso è un reality check che ci si può aspettare.
Il Coworking non è una moda da inseguire.
Non è una scorciatoia per monetizzare qualche stanza vuota.
È un modo di stare al mondo. E come tutte le cose autentiche, richiede una predisposizione reale.
Chi entra in questo mondo solo per “fare due soldi”, spesso ne esce presto. Chi ci entra perché ci crede, invece, resta. E crea valore. Per sé e per gli altri.
(E fa anche più di due soldi, diciamolo!).
Il punto è tutto qui: il Coworking non è per tutti
Così come non tutti sono fatti per cucinare, insegnare, vendere case o coltivare la terra, non tutti sono fatti per il Coworking.

Per usarlo, per proporlo agli altri.
E non c’è niente di male. Anzi, è proprio questa diversità che fa funzionare le cose.
Il Coworking è una scelta. Una scelta che premia chi ci mette testa, cuore e tempo.
E quando succede – quando si incontrano le persone giuste nel posto giusto – beh, il risultato si vede.
Lo dico con cognizione di causa: nel 2008 ho scelto di crederci fino in fondo, investendo nel Coworking quando in Italia quasi nessuno sapeva cosa fosse.
Oggi, con una Rete attiva da oltre 17 anni in tutto il Paese, sono contento di poter dire che queste riflessioni non sono teoria, ma esperienza vissuta 😇
Grazie di avermi letto e alla prossima newsletter.
Buon Coworking e buona fortuna 🍀
👇
CowoMax, la newsletter di Massimo Carraro, fondatore di Rete Cowo®, viene pubblicata un paio di volte al mese su LinkedIn: iscriviti qui.